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Lo senti il treno?

siviglia 2008 (34)


Alle undici capita, credo. Verso quell’ora, di sera, quando sento solo i cani abbaiare ogni tanto, lo sento. Il treno passa.
Lo sento da qui, sono lontano ma mi sembra di essere tra la ruota e la rotaia, a seguire come una telecamera il movimento rapido della ruota alla stessa velocità del treno.
Basta che chiudo gli occhi – anzi basta fissare il muro o la finestra – e in pochi secondi sono rapito da quel segno, immagino il macchinista.

Eccolo, il macchinista, guarda davanti e la strada per il treno è segnata, per lui e per me no, per quei secondi sono il macchinista. Guardo la strada che ho davanti ma so che intorno ci sono colline verdi, e più in su tanta neve bianca, so che di giorno la gente gira da quelle parti ma adesso sta dormendo e io passando accarezzo le loro teste. Adesso tutto è fermo, passo solo io. Fuori fa caldo, non importa che stagione sia, io sento che fuori fa caldo, potrei uscire a camminare al bordo della ferrovia se volessi, solo che adesso ho questo treno che corre.

Arriverò ai ghiacciai un giorno, anzi una notte
senza corrente elettrica
a fari spenti arriverò
con coraggio
e poi di nuovo giù
dall’altro pendio del mondo
vedrai che arrivo che farò
turbine e scintille accese
vedrai che arrivo che farò
e come puntuale di ritorno
accanto a te sarò.

Altroché se arriverò.

(so che fare il macchinista è molto più noioso e meno poetico, ma vissute da lontano tutte le storie possono essere molto più forti)

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being in 3D

Piazza Bianca

Trieste 2008

Mentre la abbracciavi rideva, rideva, rideva forte e anche a lungo, da un pianeta così lontano, rimandava alla tua pazzia e al non motivo che ti aveva portato lì. La piazza bianca girava intorno, nessuno si fermava a vedere. Aveva l’aria che stesse succedendo qualcosa mentre ero da un’altra parte, poi me lo avrebbero distrattamente raccontato mentre distrattamente avrei ascoltato.
Invece no, ero il protagonista di una bianca e anonima piazza girevole, mentre lei non impediva alla mia bocca di posarsi sul suo collo in un ironico bacio delle 4.

Lei non mi impediva niente e rideva. Era l’unica cosa che importasse poco più di niente. Più di pianto e sguardi inzuppati di odio a coppiette e gambe belle anzi bellissime. Era l’unica cosa finalmente che potessi amare selvaggiamente, che si lasciava amare selvaggiamente in quel microscopico attimo in quella piazza che girava. L’illusione più bella e vera che potessi pretendere dopo tanto mare senza acqua da bere.