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Cenotes/5

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E te lo ricordi

quando siamo entrati in quel paese che sembrava dimenticato da dio, che mi avrebbe fatto pietà, o forse paura se fossi stato solo. E invece no, mi sembrava disegnato per noi, una sola strada, forse nemmeno un chilometro di strada, pochi bambini che giocavano per strada, la pioggia, si la pioggia che sarebbe scesa anche quella notte. La polvere, i mucchi di spazzatura, il lago. Tutto finto, ho pensato, tutto disegnato per noi. Questa donna, che ci serve un cibo che non so pronunciare, non esiste; e non esiste nemmeno sua nonna che lo ha cucinato in quella specie di cucina lì dietro.

Non esiste il cane sotto il balcone, con i suoi cuccioli. Non esiste quella torre di legno, non esiste l’uomo che, tranquillo con il suo machete e il suo fucile, entra nella foresta con la faccia di uno che ha appena messo un euro nel carrello.
Non esistono le bambine che mi stanno vendendo una barretta di cioccolato.

Esiste questa sensazione di aprire la bocca e non riuscire a dirlo, ma non per la terra che calpesto, non per la sensazione che provo: per l’inadeguatezza delle parole, perché non è una sensazione – è la certezza ferma che quello che sto vivendo è la sovversione di quello che ero e sentivo fino a ieri.

Anche quella sera mi sono perso in quei nonpensieri, spaventato stupito e rapito dalla normalità con cui vedevi tutto, perdonami, se sono bambino che cerca di aprire una porta di cui non arriva alla maniglia e origlia e basta, mi sono perso nel colore dei tuoi occhi, nel taglio delle tue labbra, su un balcone che dava su quella strada con il tizio con il machete.

Ogni volta che vedevo i tuoi occhi affogavo un po’ di più. A rivederli, affogherei anche di più.