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La sirenetta nera è marketing e non è un modo per rendere inclusivo l’intrattenimento

A me la sirenetta nera piace, al netto di quanto mi può piacere un film disney oggi. Mi piacciono moltissimo le rielaborazioni artistiche in ogni campo, mi piace quando remixano un pezzo se c’è un intento creativo vero, mi piace quando i film vengono reboottati (sempre che non sia la millesima volta) (e magari non ci siano alternative) (batman sto guardando te), mi piace e anzi adorerei delle versione in genderbend di qualsiasi storia della pop culture, quindi ad esempio batman ma Bruce Wayne è Barbara Wayne e la Joker di turno sta con un bel Harry Quinn. Attenzione: non parlo di batgirl, personaggio piatto e secondario, parlo di una batwoman vera, un po’ come la Jane Foster di Thor quando è diventata Thoressa.

Sesso debole cosa?

Finalmente un film che parla dei neri

Il film non è ancora uscito e il mondo ne parla già come un successo epocale perché integra finalmente un personaggio di colore in una storia di fantasia. Finalmente! Abbiamo una principessa disney non bianca! A parte Jasmine, Pocahontas, Mulan, Tiana, Moana, Raya, Mirabel, Esmeralda che tra l’altro hanno delle storie originali e basate sulla loro storia, sulla loro cultura e il personaggio è intessuto anche sulla sua etnia.

Jasmine si ribella alle logiche patriarcali (fino a un certo punto), particolarmente forti in medio oriente, Pocahontas womansplains al John Smith di turno che c’è un mondo emotivo oltre a quello razionale e lo fa appellandosi a una filosofia che almeno a livello iconografico è legata alla natura e all’ascolto, e potrei andare avanti parecchio.

E poi vabbé c’è Ariel che è una sedicenne (o forse meno) che si innamora di uno e mette nei casini tutti per sposarlo.

Per chi è il race swap?

Sì, un reboot non mi dispiace e riallineare la storia al fatto che sposare uno appena conosciuto non è cosa è più che benvenuto, anche se Elsa lo aveva già spiegato abbondantemente. Mettere una sirenetta nera a me che sono maschio bianco e antirazzista non cambia onestamente niente, e chi dice che non sono io il target di questo concetto forse dovrebbe guardare a come un razzista prende una cosa del genere: si incazza e basta.

Lo hanno fatto per i neri? Qui arriva un punto delicato: mi immedesimo e quindi faccio whitewashing emotivo o non mi immedesimo e quindi me ne frego e sono whitecentrico? Tanto sbaglio lo stesso, quindi.

Mi immedesimo: se fossi nero, sarei offeso (o mi metterei a ridere). Cioè, tu mi dici che integri la mia cultura semplicemente perché stai colorando la pelle della protagonista di nero (marroncino?). Cioè mi meni, mi metti nei quartieri poveri, sfrutti il mio continente ma alla fine hai colorato la pelle di un personaggio di una TUA storia di un colore relativamente simile al mio e comunque plausibilmente la farai comportare come una donna emancipata della TUA cultura. No.

Non è benaltrismo, i segnali simbolici, quelli culturali, sono cose belle e necessarie: rivango Tiana con la sua storia fondata sulla cultura afroamericana o il recente 8: A South African Horror Story su Netflix che effettivamente parla di cultura africana. Lì vai a spiegare che l’Africa non è un colore di pelle o una cultura arretrata.

Insomma, bel gesto di marketing, ma secondo me che sono bianco non è inclusione bensì contentino.

Mi riservo di integrare più avanti. Nel frattempo buon divertimento!