Categorie
inside moment of being

Non portate un bambino nel bosco

Non portate un bambino nel bosco
scoprirà che ci sono
passi diversi da quelli orizzontali
che ci sono momenti in cui inciampare
ci sono punti in cui abbassarsi
ci sono punti in cui saltare
in cui scivolare
in cui farsi male e piangere
o anche senza piangere
ci sono piante dalle forme strane
ci sono piante con delle spine

troverà passi piccoli da misurare
oggetti che fanno male
bacche dai colori strani
foglie che cambiano colore

tempi che passano veloci
tempi che passano:
molto,
lentamente.

Ci sono animali che non può vedere
animali piccoli da scoprire
a volte troverà la neve
a volte troverà un fiume
vedrà case da lontano
vedrà posti senza case vedrà posti in cui non potrà arrivare
vedrà posti che non pensava ci fossero
vedrà case di gnomi
elefanti dietro gli alberi
sentirà il suono dei passi cambiare
e altri suoni da stare in silenzio,
se li si vuole sentire;

scoprirà che una strada fatta in avanti
è un’altra strada se fatta all’indietro.

Vi vedrà affaticati e non capirà perché,
e vi sorprenderà chiedendovi aiuto.
Vi chiamerà indicando un insetto
trovato con occhi migliori dei vostri.

Capirà la scarsità di tempo
di spazio
di acqua
di forze.
Capirà il valore del riposo e della temperanza.

Vedrà cose fatte dall’uomo
diverse da quelle della natura.
Imparerà passi piccoli se non vuole cadere
passi piccoli se non vuole stancarsi.
Sceglierà i suoi percorsi
che non saranno i vostri percorsi.
Dovrà chiedervi aiuto dove non riesce
lasciarvi alle spalle
dov’è meglio
di voi.

E voi,
e voi.
Dovrete stare ancora più attenti.
Perché potreste scoprire che volete
Giocare
Invidiando il vostro bambino
Oppure potreste
Ben capire
I limiti che avete.

Categorie
inside moment of being

Cenotes/4

IMG_3014

Ho fatto un sogno.
Ho fatto un sogno, eravamo noi due. Noi due, eravamo in un posto, se vogliamo chiamarlo così. Se era un posto era un posto lontanissimo, eravamo solo io e te, e intorno non c’era nessuno.

Le persone erano come alberi, sorridenti o imbronciate che fossero, erano uno sfondo. Pochi notavano la nostra presenza, e viaggiavamo. Ogni giorno ci spostavamo dove ci pareva, consapevoli che quello fosse un sogno. Ogni giorno insieme, ogni notte insieme, fino a credere di essere la stessa cosa, consapevoli che ci saremmo svegliati.

Ho fatto un sogno, e ogni notte ci stringevamo in un modo altrimenti impossibile, e ogni notte pensavo che sarebbe stata l’ultima notte della mia vita, così volevo averti ancora più vicina di così, anche se era impossibile, ogni notte in un posto diverso, ogni notte in un posto sempre più lontano.

Volevo che non sorgesse mai il sole, vivere in quel confuso e totale coinvolgimento della tua persona, vedere alla poca luce le linee che disegnavano il tuo sorriso.

Ho fatto un sogno che contava molte notti, e ogni notte, ogni notte, ci svegliavamo e ci stringevamo di più, e ogni notte te lo dicevo, che ti amavo. Ti dicevo

Ti amo

e poi il tuo nome. Tu sorridevi, tutte le notti, e dicevi che mi amavi anche tu, e dicevi il mio nome. Volevamo passare la vita assieme, se la vita era questa.

E poi ancora, ogni giorno e ogni notte, fino a non contarli più, provarli a scrivere sulla sabbia per vederli cancellati e per poter immaginare, sognare di nuovo, che quel giorno fosse sempre il primo, ad attendere un’altra notte in cui saremmo caduti l’uno dentro l’altra.

E una volta, forse l’ultima, l’ultimo risveglio, il tetto era un cielo con milioni di stelle, con la luna piena, su un letto sulla sabbia, lì si che avevo capito che era un sogno, e per quello avevo tanta paura, allora ti ho stretta ancora più forte e te lo ho detto un’altra volta, ma ormai le parole non sarebbero più bastate, come avrei potuto anche solo pensare che dirtelo fosse possibile? Quanto erano lontane le parole, il mondo, le persone, auto città lavori futuro, niente era più sensato, mentre tu dormivi con quel vento caldo. Nemmeno le lacrime mi salvarono.

Niente è più stato come prima, quando mi sono svegliato.

Categorie
moment of being

Odore di Benares

Sabato ero sul balcone a Leggere Harry Potter, il sole picchiava di più grazie all’effetto serra o grazie al fatto che il sole picchiava e bon.
È un po’ che non mi metto ad annusare gli odori stagionali, o forse è solo da giugno – credo che moti li sentano, sono queli odori dell’aria di quando cambia la stagione, a me piacciono moltissimo.
Forse era odore autunnale non saprei, era un odore di terra umida e fertile, una cosa molto buona comunque.
tavola compleanno
Non ho potuto fare a meno di smettere di leggere e godermi il bel caldo e terroso odore pomeridiano che mi faceva vivere sensazioni mentali mirabolanti, prima tra tutte l’India.
Mi ero dimenticato la sensazione che provavo ogni volta che aprivo la porta al piano terra per uscire. Essere su un pianeta alieno eppure non temere nessuno e niente, ma soprattutto essere pervasi da odori fortissimi, acri o dolci, e la desolazione di tornare a casa e scoprire un ambiente neutro, con la narici che speranzose cercano una qualche istrazione ma trovano solo lo scarico di una macchina, o la resina di un pino. È un po’ come quando si chiude la porta di una festa, dicevo, si erano provate un sacco di cose, luci casino gente etc, insomma si chiuda sordamente la porta dietro e fa solo.

clac.

Bon, silenzio nessuno fuori e tante cose in testa. Speriamo di tornarci, insomma, adesso che sono passati sei mesi dalla festa non sarebbe male riprovarci.

PS ho anche appena letto un post del blog di Musicomane, che da un anno è in Australia e sta per tornare qui. Scrive bene, anche io sono da un anno in Australia con lui praticamente 🙂 e mi sta facendo venire voglia di raggiungerlo fisicamente la prossima volta che ci va.

Categorie
inside moment of being

Sarà il cielo


Sarà il cielo che mi dà queste sensazioni, o sarà che non sono sensato.
Ma ci sono momenti che guardo su e ci rimango in estasi, annuso l’aria, mi sembra di poter toccare tutti gli alberi nei dintorni solo chiudendo gli occhi – l’umidità del verde intorno va a pescare nel profondo dell’istinto, sembra di essere un animale, a tratti..

E capitano episodi che dico, ma come è possibile? Proprio io, proprio qui? L’unico modo per salvarsi dalla mortalità probabilmente: vivere le vite delle cose, delle piante e delle persone intorno.
Passare in bicicletta e vedere la luna sul lago, inondarsi di profumi estivi e scoprire che poco più avanti l’irrigatore di una villa sta proiettando una cascata luminosa sulla ciclabile – e quindi infilarsi sotto a capofitto, ridendo.

Ritrovarsi a pensare al tempo, che scorre sotto le ruote o forse scorre nella testa, addentrarsi sempre più in là in questioni filosofiche che non danno esito se non il sentirsi felice, sterili come dei clementini dolci.
Dolci come dei clementini senza semi.
Semantici come dei clementi sterici.

A volte mi sveglio e mi sembra di fare analisi del reale che non hanno nulla da invidiare a una mente superiore, senza i filtri della razionalità – vedo il mondo come susseguirsi di azioni senza i significati che diamo noi umani, lo vedo un po’ da alieno.

Iniziassi a drogarmi ci perderei 😉

Categorie
inside moment of being

L’altra notte c’era vento

lontano lontano
Pericolosamente poetico mi accingo a vivere l’ennesimo moment of being di due o tre notti fa.
Appena sveglio le barriere razionali sono giù, più istinto meno ragionamento.

Già successo.

Non è possibile, penso. Non è possibile che tutto giri così velocemente. Il rubinetto di quella droga che si chiama ragione si era chiuso nelal testa, il mondosi svelava per l’accozzaglia di cose che è effettivamente senza un ordine.
Il relativismo scoppiava in tutta la sua bellezza; l’impressione stavolta era quella di vedere la linea del tempo stropicciata nel palmo della mano. Questa è una metafora, non è come io effetivamente stessi. Io stavo come se non ci fosse più il tempo, come se tutto fosse sparito giù nel buco.

Gli occhi assonnati fuori dalla finestra vedevano solo buio e gli alberi in ombra che si muovevano da ubriachi, lenti e agitati. Nella storia infinita Fantasia piomba nel Nulla, il mondo era già piombato nel Nulla, rimanevo solo io e la stanza. Il giorno dopo avrei dovuto fare una serie di altre cose, ma mi sembrava di averle già fatte, avrei spauto dire come sarebbero andate. E questo si stava espendendo al giorno dopo, ai giorni dopo. Stavo perdendo totalmente la direzione, mi sembrava di aver già vissuto la vita, forse anche qualche vita in più.

Il vento porta sempre via tutto quelloche ho in un momento, lascia solo l’essenziale:

percezione.

Categorie
inside moment of being

Davanti agli occhi ancora il sole


E dietro alle spalle un pescatore.

Stavo insegnando chitarra ad Arianna, e durante le lezioni ci si fissa su un pezzo e lo si ripete spesso. Abbiamo avuto l’onore di suonare diverse volte il pescatore, grazie a de Andrè. E più la ricantavo, più Arianna migliorava, e più rimanevo colpito da quella frase

gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma verso il vino e spezzò il pane
per chi diceva ho sete, ho fame

un miracolo di connubio tra la foma e la sostanza. Parole perfettamente sposate, lì da decine di anni, per me da sempre. Le canto tutti i natali in famiglia. E invece guarda un po’, ieri mi hanno tagliato le gambe. O siamo pazzi o siamo bravissimi, secondo i punti di vista. Certe volte cogliamo di tutto in cose insignificantemente piccole – lì ho colto una bellezza.. Ho visto questo vecchio che schiudeva le palpebre a questo sole basso, il volto un po’ rugoso, senza guardarsi minimamente intorno, con davanti a sè il pane e il vino. Come se dovesse mangiare e bere lui.

È difficile a volte non guardarsi neppure intorno, oserei dire che può diventare sbagliato.
Non è interessante comunque, la bellezza della scena e di quelllo che segretamente comunica al cuore scavalca il resto.

Grazie al mondo insomma, e grazie a mio nonno che è stato pescatore per tanti anni. Senza di lui niente di quello che vedo sarebbe possibile.

Categorie
inside moment of being

Cosa è

Cosa è che è lì mentre corro, su per il viale ciottolato al buio, cosa è che corre. Cos’è che gli alberi e i muri, cos’è che il viale ciottolato.

Cos’è che vive e dà significato alla parola vivere; cosa è che dà significato alle parole.

Cosa è il significato, cosa muove, cosa è lì mente penso: cosa è lì mentre non penso.

Cosa devia, cosa va dritto cosa fa deviare e continuare. cosa è presente e distante, cosa gioca e significa giocare.

Cosa è che le mani le vedo, cosa è che le gambe le sento.

Cosa è che vibra, non un cellulare, ma vibra in tutto. Vibrare non è spostarsi, vibrare è energia dice la fisica. Allora cosa è che vibra in tutto.

Cosa è che l’aria fa girare, le stelle fa girare, il mondo fa girare, i sassi rotolare, dio c’inventare.

Cosa è che leggerezza fa sentire, di forza morire.

Cosa è la sensazione del profumo del calicantus, cosa è l’aria dell’inverno tra le narici.

Cosa è il ricadere ogni volta sopra il Mondo.

Cosa è che dio ci fa inventare.

Cosa è che Dio ci fa inventare.

Cosa passa davanti agli occhi e ci fa cambiare.

Cosa passa davanti al cuore e ci fa vedere.

Cosa è che passa tra le mie scarpe e mi va voltare, cosa mi fa scappare.

Cosa è che tutto salta, che tutto fa saltare.

(quel che non ha misura ne mai ce l’avrà)

Categorie
inside moment of being

Sinestesie sotto il cielo invernale

Ennesimo moment of being? Bè, forse spalmato su più giorni ma direi di si.

Scendi, vai alla moto e lo vedi lì, come al solito ad aspettarti. Ventitrè, anni che ci stai sotto e lui non si muove, instancabile realtà che a quanto pare non cambierà da quando sei nato a quando sicuramente morirai. Il cielo, chiaramente.
Ovvie le religioni che lo legano a Dio, dicendo che il cielo è la casa dell’Essere supremo, o che il cielo stesso è una sorta di divinità.
È che ultimamente il pensiero si allarga, a causa sicuramente di qualche avvvenimento interiore, ma anche grazie all’aiuto esterno di questo vento di fine ed inizio anno, vento ceh ha pulito tutto: ha spazzato via le nuvole nel giro di una notte. La notte porta consiglio, e solo adesso che scrivo mi rendo conto dell’unità tra questi fenomeni. L’inizio di un anno nuovo sulle ceneri di quello vecchio (sulle fondamenta preferirei dire), il vento che spazza via tutta l’umidità, il cielo terso che mi accoglie fuori da casa di Garci mentre tiro fuori le chiavi dalla tasca.

Quando ripenso a certi momenti, vicini o lontani, tanto più è stata intensa la sensazione quanto più il momento è lento, lo rivedo al bullet-time (cara matrix, quanto mi hai insegnato..) rivedo il cielo, e risento quel profumo intenso di Favonio, e rivivo in un attimo molti minuti di vita.
Mi è stata concessa la grazia di avere un naso degli occhi delle orecchie delle mani e una bocca funzionanti, ma non solo. Mi è stato anche concesso di vivere in un posto in cui posso sentire il calicantus e il vento a gennaio, esplodendo di emozione per la velocità del pensiero, che mi porta in altri luoghi mentre sono lì.

Scherzi della poetica, ti transformi in un altro tempo vivi un altro luogo.
È lontano il tempo della meteopatia, quando avevo timore che l’estate finisse per non dovere affrontare giorni bui e freddo, niente più biciclette gelati e lago.
Sto apprezzando tantissimo quest’aria fredda, l’indossare due paia di pantaloni e due magliette, il vivere in una sera perenne. Non che non voglia l’estate, no.. bisogna accettare le stagioni così come vengono, è un allenamento per accettare le proprie di stagioni. Abbiamo la fortuna di poterne vedere tante, vedere che le foglie cadono, che i fiori appassiscono per dare frutti e poi muoiono per dare semi.

Romanticamente poi, sempre fisso a guardae il cielo, pensi che le stelle ci osservino con i loro occhi di stelle e pensino con i loro nuclei fatti di Elio, vedendo i nostri cicli ed imparando ad amarci, o per lo meno ad amare il fenomeno della vita che si rinnova. Perché anche loro, per quanto ne abbiamo capito noi poveri esseri limitati, devono morire prima o poi.
E forse a sua volta l’universo, con i suoi occhi di universo e il suo cuore di vuoti e di pieni osserva le sue figlie esplodere fragorosamente e riaggregarsi silenziosamente, e chissà forse lui no non muore. Alcuni di noialtri dicono di si, ma cosa cacchio vuoi dire si o no? È evidente, siamo proprio esseri umani e niente di più.

E io, ancora lì con il naso in alto, osservavo un luna che illuminava a giorno il monte rosso.
Fottuta luna, quante poesie. La sua potenza è quella di essere una, come il sole. Sarebbe stato facile che ce ne fossero state altre, ma no, una sola. Un sistema solare con una sola stella e noi, il terzo pianeta, un solo satellite. Ci sono altri pianeti nel sistema con una solo satellite?
Ogni tanto è carino lasciare perdere le coincidenze e vedere come tutto sembra fluire verso una sola direzione.
Un vuoto pieno perfetto, sembriamo scritti in un libro.
Buonanotte cielo e anche a tutto quelo che ci sta sotto.

E anche sopra, Elisa.

Categorie
moment of being

zoom out

una notte, tanto tempo fa, anzi era il 2003. due ragazzi stavano abbracciati in un matrimoniale. anzi, un ragazzo e una ragazza. una dolce estate, una storia già piena di casini la loro. molti litigi in mezzo, gelosie a non finire. ma si sa, chi non risica non rosica, e loro risicavano, si rosicavano e un po’ rosicchivano qualcosa dalla vita. quella notte, la prima volta di alcune cose, ne azzeccarono una.
chiaramente non dormirono tutta la notte come spesso capita quando i ragazzi possono dormire assieme.

tra l’emozione, tra le cose da fare, e anche il non essere abituati a dormire con qualcuno di fianco, non ce l’avrebbero fatta.
ma, dicevo, quella notte ne azzeccarono una. o meglio lui le raccontò una storia e lei si commosse nell’ascoltarla, rendendo a lui la felicità del raccontarla e la consapevolezza di aver reso felice qualcuno – il meccanismo di feedback dell’universo, quindi, funzionava – e quindi adempiendo al compito degli esseri umani: inventare storie.

le raccontò una storia di due ragazzi in un letto che si abbracciavano, e si raccontavano una storia. poi la trama si allontanava da questo fatto. si alzava dal letto in cui erano, vedendoli dal soffitto, e poi usciva dalla casa, vedeva la grande casa in cui loro erano piccoli, la vedeva dall’alto, ne vedeva il tetto dalla forma regolare, il grande giardino da cui era circondata. chi la ascoltava questa storia subito notava il forte contrasto tra i ragazzi, che prima erano tutta la storia, e la loro piccolezza in confronto a quella grande casa, il salto era notevole, e già spaventava. specie per il meccanismo di identificazione insito dalla nascita in tutti. faceva capire la piccolezza.

incredibilmente si poteva fare di più. vedere l’intera città e la casa con dentro i ragazzi. la cosa faceva chiaramente più paura, anche se non era proprio paura, era più quel sentimento di grande vuotezza, o pienezza, che riempie ciascun cuore quando sembra che voglia scoppiare dalle sensazioni che rimbalzano dentro, come uno yin-yang (non me ne vogliano gli orientalisti).

se non si erano persi di vista i ragazzi all’interno della città, li si sarebbe persi di vista adesso che si cambiava città e si andava a trovare le persone che ad essi volevano bene.

come un pacifico Dio, la storia si spostava in altre città a trovare i genitori dei ragazzi, in quattro luoghi diversi, e non in due. la storia proteggeva i sogni dei piccoli genitori, nelle loro camere nei loro letti con la piccola testa sul loro piccolo cuscino custodivano le proprie coscienze come pietre preziose e uniche all’interno del loro corpo. ognuno di essi aveva cose da dire ai ragazzi, e c’era chi riusciva di più o di meno. la notte, cornice della storia, era limpida come quella che effettivamente regnava fuori dalla casa in cuila storia stessa era raccontata.

lei si stringeva forte a lui, con la testa appoggiata sul petto, come se la velocità a cui si volava fosse eccessiva. in realtà erano sempre nello stesso letto, ma in effetti ci sono velocità che non si possono misurare in numeri. e lei andava proprio a quella velocità, a trovare uomini e donne che non la potevano sentire in quel momento. sarà stato il vento che le entrava tra le palpebre che la faceva lacrimare così, a quella quota e di notte.

non è da tutti volare senza avere ali, e qualche piccolo inconveniente come le lacrime c’è da aspettarselo.

volarono per quel che restava della notte, e poi finalmente si misero a sognare.

Categorie
moment of being

a questo penso quando piove.

piove moltissimo, stanotte, come ieri notte. e io mi sono rotolato nel letto, ieri notte, perché pioveva troppo: avevo una netta paura della pioggia e del vento. uragano, bufera.
quando si appoggia la testa sul cuscino inizia la sparizione della parte razionale di sè: ci si trasforma piano piano in animali, tutte le giustificazioni che ci si dava dirante il giorno spariscono. e così l’ululato del vento che sferza l’asfalto fa paura, una paura pressoché incontrollabile.
il cuore batteva a mille, ho provato a respirare con calma, ma credo che se i miei occhi si fossero aperti sarebbero stati quelli di un cavallo imbizzarrito.

una volta arresomi all’evidenza, mi sono alzato ed ho chiuso la finestra.
sentendo quel rumore, ad occhi chiusi, mi sembrava di essere lì fuori, forse un po’ stavo già sognando di volare fuori e essere in mezzo a quell’apocalisse. perso. una barca in mezzo all’oceano, un’anima in mezzo al temporale. quante fantasie. e quelli sono i momenti in cui mi vengono in mente riflessioni che mi sembrano grandi, che devo scrivere. e poi mi addormento, conscio che l’indomani mattina tutto sarà dimenticato.

e in quei momenti mi chiedo anche. come facciamo a vivere? come faccio di giorno ad essere abituato a tutte quelle convenzioni? il giorno, la notte, i vestiti, i computer, la bici, la moto, la macchina, genitori, gente che genera altra gente (questo si che è traumatico da pensare), il bene e il male, così gira il mondo. bene e male. assurdo che ci siano due forze in gioco, assurdo il numero due. assurdi i numeri. non hanno senso di per sè, glielo diamo noi, così come alle parole stesse, e qui divento metadescrittivo. tolta la razionalità, il Mondo diventa un ammasso di aggeggi senza nome, atomi ed energia.

a questo penso quando piove.