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Karen sings

Karen ci canta la sua bella canzone in una serata sciallo. Canzone di cui non ricordo il nome, forse Stolen away from you. (Rubato da te).

Vai Karen a te la linea.

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Sunrise

sunrise hamilton (25)

Stanotte non ho dormito. Avevo sonno ma avevo il cuore che esplodeva di cose da dire, così le ho detto continuamente su internet a tutti quelli a cui dovevo dirle, così la notte è passata tra una parola e l’altra, inframezzata da una passeggiata sotto le stelle con persone che non mi conoscono ma mi stanno vicine.
Inframezzata da una permanenza di alcuni minuti sotto un cielo disumano, di quelli in cui si vede molto chiaramente la via lattea, con stelle cadenti, con odore di campagna. Guardandolo ho avuto l’impressione che stavo capendo qualcosa di più dell’Universo, un bonus che mi è stato concesso per pochi secondi, poi sono tornato in macchina.

Poi a un certo punto dopo essere arrivato a casa ho detto ok vado a dormire, e ho alzato gli occhi dal computer.

sunrise hamilton (50)

Albeggiava, lo stronzo. Il sole stava colorando la parte più bassa dell’orizzonte di un gradevolissimo azzurro. Non potevo rifiutare l’invito, era una cosa di rappresentanza almeno, se non mi fossi presentato non mi sarei poi più potuto presentare alle segueti albe e tramonti.

giobi guarda cielo

Ho messo il maglione e ho preso la mia fedelissima Lumix, ho corso.

hillcrest road (8)
Ho corso con molto più fiato di quello che avrei potuto avere, non aveva senso. Erano le 6 e mezza di mattina, ho corso davvero come una bestia sia come velocità che come portata della corsa. Sono andato a Hillcrest, la strada sulla cresta della collina, una strada che sembra vada dritta su per il cielo, e mi sono infilato in una stradina privata.

Poi mi sono appollaiato su un trespolo, sono stato un’ora, cacchio un’ora è davvero tanto, ad aspettare che la linea luminosa diventasse più forte. Era davvero un po’ snervante, stancante.
Dopo un po’ è arrivato uno in macchina, avrà avuto la mia età. In Nuova Zelanda non è comune vedere uno appollaiato su un palo fuori da casa tua, ma è molto comune salutare persone che non conosci e chiedere come stanno. Mi mancherà moltissimo questo. Così mi ha salutato e mi ha cheisto come stavo. Io stavo bene, e anche lui, probabilmente tornava da qualche festa. Lo ho fermato e gli ho chiesto di farmi questa foto.

sunrise hamilton (6)

Grandioso.

Alcuni minuti dopo è uscita una ragazza dalla casa di fronte e mi ha detto “Ehiiiiii how are you?” – è stata molto cordiale e simpatica, mi ha spiegato che andava ad Auckland per un corso universitario e che di solito non si svegliava a quell’ora.
Ho ringraziato il sole per quei due tizi insomma, e poi ho visto il filo dorato all’orizzonte. Ho pensato: oh, finalmente.

sunrise hamilton (28)

E mentre pensavo “finalmente” di colpo sono scoppiato a piangere, senza preavviso. Fottuto sole.
Non pensavo si piangesse davanti alle albe, e invece cazzo si. Assurdo, non è un viso, non è una situazione, è solo il sole che sale. È bello, non è commovente. E invece era davvero commovente, al di là della situazione.

sunrise hamilton (50)

E così è andata, sono tornato a casa, stanco e felice.

E ho pensato a una cosa molto facile:
ogni tramonto un’alba.

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Rosie e le donne maori

godetevelo 😀

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Rosie

rosie
Rosie è italomaori, anzi sardomaori che è peggio. Mi arriva alla spalla, ha la carnagione un po’ scura e i lineamenti un po’ sardi, corporatura minuta ed è pazza. Fa facce continuamente e spoglia le frasi da tutti i please e altre parole così che quando ho lavorato come cameriere i riferimenti erano “take” “there” “hold” – ogni tanto dice anche “thanks” ma non esagera mai 🙂 è il caposala del ristorante, il capo di qualsiasi cosa finisca in mezzo. A sedici anni tipo è scappata di casa.

Va ben, la sera che lavoro lì mi dice che dopo andiamo da qualche parte, ci troviamo con i suoi amici. Chiaramente senza please, senza un tubo. “We go out” e poi una faccia tipo sono pazza. Ok, va bene. Dopo il lavoro quindi si esce sciallo dal ristorante, prendo le chiavi della mia macchina e lei si dirige invece verso un mostro bianco parcheggiato per così dire mezzo sul marciapiede e mezzo altrove, di sbieco. “Come” (vieni) – le chiedo i dettagli del programma della serata, lei accenna locale amici giro locale giro amici, va bene salgo sul mostro, dopo che lei ha diradato la coltre di oggetti di varia natura che risiedevano lato passeggero per farmi per così dire accomodare.

macchina rosie (1) Il mostro bianco si muove, è a occhio un 2400 turbo di un tamarro che è più che tamarro, lei lo usa per fare corse illegali in giro – capisco di essere finito in GTA. Lo avevo già intuito quando sono entrato dal barbiere con le strisce rosse e blu fuori, ora ne sono assolutamente certo.

Quando cambia marcia (cosa che accade spesso) o semplicemente rilascia l’acceleratore (cosa che accade di rado) la macchina emette un sonoro sbuffo, ovvero il turbo che si rilascia, ovvero PSHHHHHHHHHHH. Gli interni, sobri, sono corredati da gps (ovvio) contagiri in evidenza (ovvio) lancetta del turbo (meno ovvio) e cronometro sul volante (molto meno ovvio). Lei sembra padroneggiare bene la cosa, facciamo un paio di giri in cui becchiamo il suo ragazzo e i suoi amici (che parlano come parla la gente in GTA, se capite cosa voglio dire) e costatiamo che i locali sono tutti chiusi, ma soprattutto succede l’inevitabile: una ragazza dal marciapiede destro su un tratto a 4 corsie (noi si guida dal lato sinistro qui) le dice qualcosa, che credo fosse “ehi puttanella”, ma non ho sentito bene. Di sicuro non era “tanti auguri a te”.

Da brava sardomaori, Rosie gira diligentemente il volante a destra (strada deserta fortunatamente) accelerando e facendo sentire che le sue gomme hanno una buona tenuta (è una ragazza prudente), corona l’inversione a U con un bel freno a mano accostando a un marciapiede, slaccia la cintura di sicurezza (è una ragazza con la testa sulle spalle, lei), scende buttando via la sua diligente sigaretta, e dà un paio di diligenti ginocchiate alla signorina che le ha urlato dietro, sotto gli occhi stupiti delle amiche della signorina, il tutto seguito da un po’ di insulti artocolati e disarticolati da “fuck” e oscillazioni orizzontali della testa che nemmeno nei peggiori ghetti del bronx. Io lato passeggero mi gustavo il cinema, ma purtroppo non ho fatto in tempo a prendere la macchina fotografica. Il tutto coronato da un’altra inversione a U (tra un semaforo e l’altro, nb), e un lancio di bottiglia fuori dal finestrino, direttamente sull’asfalto. Dopodiché si torna dagli amici e si racconta la cosa, naturalmente ingigantendola un po’ per il piacere del pubblico. Almeno, credo che la ingingatisse dal numero di “fuck” che le sono usciti dalla bocca.

Il suo moroso era felice dell’episodio, bravo 🙂

Che dite, vi aspetto che scendete anche voi? Portate i manganelli regaz che qui siamo west siders!