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la neve

minchia ma quanta.
cosa è tutta sta roba che scende giù? così bella soffice piccola ma poi quando si mette giù diventa una bestia tale da modificare paesaggio e lo stile di vita delle persone.
montagne di massa bianca ammonticchiate ai lati delle strade, montagne alte più di persone, e persone bloccate tra quelle montagne. l’invasione ha avuto inizio, nessuno si poteva più muovere di casa. macchine totalmente ricoperte.
andare a fare un giro significava affrontare la natura, affrontare fatica, scivolare, riempirsi le scarpe d’acqua, riempirsi in generale di acqua, e vedere le foglie che cadono sperando di trovare le foglie che erano cadute prima ma invece trovano un deserto bianco.

lunare..

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scegliere (2).

riassunto del precendente?

un giorno, ad agosto, ero lì con lei davanti. e feci il solito gioco della monetina.
non sapeva se andare a padova a fare psicologia o a milano a fare lingue. e si crogiolava in questa indecisione, nel tipico masochismo (eventuale, forse non era vero masochismo ma era potenzialmente masochismo) di chi no nsi accorge che prendere una decisione sbagliata o quasi fa molto meno male dello stare sull’indecisione.

dopo ore, forse giorni, passati a pensare e parlare, cercare di considerare tutti gli aspetti possibili dell’eventuale decisione, dove si studiasse meglio, quali fossero i pro e contro dei posti e degli ambienti, dopo che tutto era stato sviscerato (perché non sempre c’è una fine allo svisceramento), una volta appurato che stavamo andando avanti in maniera sterile, le dissi.
se esce testa, milano, se croce, padova.
si emozionò, forse mi disse anche qualcosa del tipo ma pensa te, oppure non ma dai non è logico, o altre cose del genere. fatto sta che la moneta colpì la mia unghia e viceversa, passò attraverso l’aria colpendo molecole che erano lì pronte da parecchio, che aspettavano quell’euro che le fendesse e fosse rallentato da tutti quegli urti. un in più o uno in meno avrebbe cambiato il modo in cui si posò sulla mia mano aperta, croce, che poi girò per metterla sul mio polso.
testa
milano.

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l’uomo e il lupo

tornavo a casa e un husky mi ha seguito. è comparso improvvisamente alla mia sinistra, sbucando da una via buia, e il rumore di zampe mi ha impaurito. è venuto verso di me diritto, poi quando mi ha visto un po’ meglio ha girato e se ne è andato nella direzione in cui anche io stavo andando. avevo ancora paura, ho preso in mano le chiavi, unico oggetto che avrei potuto lanciargli nel caso fosse diventato pericoloso, ma non lo è diventato. anzi mi stava intorno come se fossi il suo padrone, e si fermava ad ogni cancello. annusava, poi riprendeva e mi trotterellava intorno.

appena è rimasto dietro, subito mi è corso verso i piedi e mi ha anche toccato. non so se con il muso o con le zampe, mi ha toccato insomma, è passato oltre ed è andato fino a un cancello poco lontano, c’era un altro cane.
non so come fanno i cani, ma se c’è un simile nel raggio di qualche decina di mentri, lo sentono e lo cercano, per lo meno i cani con cui io ho avuto a che fare.

tra l’altro sapevo com’era quello che stava dietro quel cancello: un cane nero, grosso, faceva un po’ paura, era un cane da guardia, di quelli che abbaiano un po’ a casaccio a chiunque si avvicini.
il mio husky si è avvicinato alla sua ringhiera e ha mugolato un po’, carino faceva anche quasi pena. e il cane nero, niente, non ha abbaiato, si è mosso verso di lui, penso si siano annusati, io sono andato avanti e per un po’ sono stato da solo: lo ho lasciato indietro, si, e avevo meno paura. non si sa mai cosa gira in testa a una bestia. anzi, non ci ho mai riflettuto, pensavo che se mi avesse ringhiato avrei dovuto combattere. un cane è più forte di un uomo? non lo so, non lo so nel mio caso. sarei scappato, pensavo. un cane non sa scavalcare un cancello. si, sarei scappato. ma tanto lui era rimasto dall’altro suo amico, e non avevo più paura, non mi sentivo solo, stavo bene insomma.
ma a breve sento i suoi passi, anzi la sua galoppata, sembava scappasse, e invece correva. realizzo solo ora che correva da me, in quanto si è fermato poi un paio di mentri davanti ai miei passi.

un paio di macchine ci hanno incrociato. guardavano il cane, guardavano me. cane e padrone, ovvio. non avevo più paura, mi ero affezionato e ne ero quasi orgoglioso. pensavo a quelle storie di bambini che dicono “mi ha seguito fino a casa, posso tenerlo?”
ci pensavo, non che volevo farlo, e nemmeno avevo la presunzione che mi avrebbe seguito fino a casa, però mi veniva in mente. rimane indietro, come ormai era consuetudine. arrivo in mezzo alla strada, e come succede a volte mi fermo lì in mezzo: guardo su, guardo giù. nessuno, pochi suoni, quello che in genere la gente chiama silenzio. ecco, invece sono suoni di molti generi a un volume piuttosto basso.
virginia woolf mi avrebbe passato il termine moment of being, guardavo il cielo e pensavo che cacchio ci sto a fare, che cacchio ci stiamo a fare, a scrivere poesie e programmi, brochure e copioni: siamo su un sasso girevole.

poi mi ha raggiunto, mi ha annusato le gambe, e ha tirato dritto.